Come si fa a riconoscere una pasta di qualità? Quali test deve superare in laboratorio e quali sono i parametri da valutare leggendo sull’etichetta i valori nutrizionali e l’elenco degli ingredienti?
La digeribilità e gli elementi nutritivi che rendono la pasta un ottimo alimento devono essere mantenuti anche dopo la cottura: per questo è fondamentale che l’acqua raggiunga in modo uniforme anche la parte centrale del prodotto, in modo che cuocia bene all’interno.
«Quando arriva un campione in laboratorio valutiamo subito il tempo di cottura ottimale – che tecnicamente corrisponde al momento in cui la parte centrale – chiamata in gergo animella – si idrata, perdendo il colore biancastro». Le modalità di cottura per valutare i tempi sono precisi e specifici: «variandoli possiamo ottenere risultati diversi, per questo teniamo come riferimento 100 grammi di pasta in 1 litro di acqua. Anche la qualità dell’acqua può dare esiti differenti nella cottura». Inoltre si valuta anche la sovracottura prolungando i tempi del 20-30%, ossia di 2-3 minuti – come può capitare quando cuciniamo e magari rispondiamo al telefono – per verificare che la pasta resista e non scuocia. I tempi consigliati dai produttori sono correlati anche alle dimensioni del formato e soprattutto al suo spessore, oltre che alle caratteristiche della materia prima: più proteine implicano anche tempi più lunghi di cottura.
«In laboratorio si eseguono test sensoriali e strumentali suddivisi in diverse tipologie. Si possono avere test che richiedono la presenza di una giuria di pochi esperti ben allenati a riconoscere la qualità della pasta, oppure indagini di mercato ampie che coinvolgono dai 100 consumatori in su». I test strumentali permettono di valutare alcune caratteristiche fisiche della pasta cotta, come la consistenza e la collosità. Quando la pasta è destinata in specifico alla grande ristorazione, si analizza la capacità di mantenere la consistenza corretta anche dopo la cottura. «Se il nerbo si mantiene anche quando la pasta è conservata dopo la sua cottura allora abbiamo una pasta di ottima qualità, adatta nei luoghi di ristorazione collettiva nei quali spesso si sfrutta il sistema della metà cottura».
Il consumatore può controllare in etichetta la quantità di proteine: il contenuto minimo per la pasta di semola deve essere 10.5% (11.5% per quella di semola integrale). Si tratta di un valore abbastanza basso che tutti i pastifici tendono a superare. Quando sull’etichetta si trova un valore di proteine del 13.5% vuol dire che si tratta di un’ottima semola e, di conseguenza, se il processo industriale viene condotto correttamente si può ottenere un’ottima pasta. Sul sito dell’INRAN è possibile ritrovare la tabella con le caratteristiche nutrionali , da confrontare con quelle in commercio. La trafilatura migliore è realizzata con trafile in bronzo e questo trattamento in genere viene anche messo in evidenza sulla confezione. Il consumaotore può inoltre valutare l’aspetto dell’acqua di cottura, che deve essere il più possibile limpida (calcare a parte). Questo significa che la pasta non ha perso molto amido e proteine
Il parametro più importante che il consumatore dovrebbe conoscere è la temperatura del ciclo di essiccazione. «Si tratta di un elemento importante – in grado di influenzare sia caratteristiche fisiche (come il colore) sia quelle nutrizionali, con ripercussioni anche sul comportamento durante la cottura». Tuttavia in etichetta non compare questo valore. La stessa cosa avviene per la temperatura dell’impasto (inferiore ai 55°C), quella dell’acqua durante la preparazione (sotto i 25°C) e il contenuto del glutine secco (correlato a quello delle proteine, più alto è il contenuto maggiore sarà il contenuto in glutine), e l’indice di giallo pari a 24.
Gli elementi che garantiscono la consistenza e tenuta della pasta sono due: la qualità del glutine, tanto migliore quanto più sono pregiate le semole, e la temperatura di essiccazione, necessaria per raggiungere il 12.5% di umidità massima prescritta dalla norma. «L’essiccazione ad alta temperatura (>80-85°C) si è diffusa inizialmente perché comporta una netta riduzione dei tempi di essiccazione, dunque una maggior produttività». Solo in seguito si è notato che, a parità di semola, la pasta essiccata ad alta temperatura ha un miglior comportamento in cottura se confrontata con quella essiccata a bassa temperatura. Quindi una pasta essiccata ad alte temperature, pur essendo prodotta con farina con una quantità di glutine modesta, ha un soddisfacente comportamento in cottura. L’inconveniente è che alla fine le alte temperature raggiunte durante l’essiccazione provocano un danno termico alla lisina presente nella pasta (un amminoacido essenziale molto importante dal punto di vista nutritivo perché il nostro organismo non è in grado di produrlo) e comunque di per sé poco presente nella farina.
Tecnologia dei cereali e derivati presso il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Alimentari e Microbiologiche (Distam) dell’Università degli Studi di Milano.